L’atteggiamento: il nostro migliore prodotto
Una preziosa consapevolezza per vendere di più in tempi di crisi

Lo sappiamo, il marketing ce l’ha sempre insegnato. Negli anni che furono, avere un’attività imprenditoriale/commerciale ben posizionata, con una bella sede, ben arredata, con vetrine luccicanti… e indovinare i prodotti da commercializzare permetteva di attrarre clientela più o meno facilmente. Eravamo nell’era del consumismo, chi più ne ha più ne metta, il superfluo diventava un must.

Successivamente la disponibilità dei prodotti era sempre maggiore, l’offerta anche, la concorrenza più spietata: si passò quindi nell’era del servizio, dove a parità di prodotto “vinceva” chi offriva procedure più snelle, tempi più rapidi di consegna, modalità di pagamento con più opzioni, personale predisposto in maniera specifica alle relazioni con la clientela, e così via. Poi sono arrivati il Web, la globalizzazione e la successiva turbolenza socio-economica tuttora in corso. Un cambiamento epocale che ha fatto sì, da un lato come consumatori di diventare più consapevoli e liberi, vista l’enorme quantità di informazioni disponibili con pochi click. Dall’altra, come imprenditori e commercianti, ci si è trovati nell’arco di pochi anni a dover competere in uno scenario completamente modificato: non più la strada dove abbiamo la sede, la piazza o la città di riferimento: l’intero pianeta o quasi, e acquirenti con “coscienza” altrettanto global. Il che può vuoler dire che il cliente di un paesino italiano di n.1000 abitanti ha ora pressoché lo stesso modo di ragionare, gli stessi bisogni e le stesse esigenze di un cittadino di Tokyo. Aggiungiamo che oramai gran parte dei marchi in quasi tutti i settori offrono la vendita al dettaglio diretta, offrendo cataloghi online molto completi, procedure molto snelle, offerte, promozioni, possibilità di restituire il prodotto se non piace (in alcuni casi addirittura si offrono 365gg. di tempo per ripensarci).

Quindi cosa fare?
Da queste premesse si può essere portati a fare qualche valutazione strategica, tra cui:
1) Vendo anch’io online. Bene, in alcuni casi può essere interessante, ma nella gran parte dei casi anche con questa modalità non è il prodotto o il canale a fare la differenza.

2) I più all’avanguardia diranno: miglioriamo ancora di più qualità e servizio, se il cliente entra in contatto con noi trova un trattamento che non può trovare online.

Ok, ci siamo, qualità e servizio sono importanti, ma basta oggi…tutto ciò? Intanto, che l’acquisto sia nella gran parte dei casi legato ad aspetti emotivi più che razionali, è confermato da tantissimi studi e ricerche in merito. Ma oggi ancora di più. I recenti epocali cambiamenti, caratterizzati da incertezza e sfiducia, hanno reso le persone molto più sensibili a fattori intangibili, quali, tra i più importanti, l’atteggiamento. L’atteggiamento personale quindi del titolare e degli addetti al contatto con la clientela si rivela uno degli elementi discriminanti per fidelizzare la clientela o spingerli a cercare alternative. Perché? Uno dei motivi è legato al fatto che, mentre a parole possiamo proclamare quello che vogliamo, l’atteggiamento è quello che conferma o smentisce, spesso, quello che stiamo dicendo di persona o attraverso una campagna di comunicazione. E’ nel momento di contatto reale che si verifica il valore, quello che gli esperti di organizzazione orientata al cliente chiamano “momento della verità”.

Diversi studi affermano che, per esempio, l’atteggiamento di fiducia è una delle forme di motivazione più alte. Ecco perché oggi si parla di due nuovi tipi di intelligenza: intelligenza emotiva ed intelligenza sociale. Qual è il sentimento che sta provando il cliente o potenziale tale quando entra in contatto con me? Faccio un esempio: immaginate un’azienda che vende prodotti X, fa una campagna promozionale per la quale tra l’altro ha anche investito un discreto budget. Il titolare di questa azienda, avendo “afferrato” che l’affidabilità per il cliente è importante, utilizza lo slogan: “Per noi il cliente è al centro. L’affidabilità un nostro valore”. L’atteggiamento però, nel momento in cui la clientela entra in contatto con l’azienda, è evitante più che invitante e non conferma molto quanto dichiarato dallo slogan. Bene, cosa succede? Vende di più? Può darsi anche di si in quel momento, magari facendo leva sul prezzo. Ma non capitalizza l’investimento nel lungo termine, per cui, paradossalmente, sta creando costi più che ricavi, riducendo i margini.

Se infatti l’atteggiamento fosse stato perfettamente allineato con i valori e gli slogan, avrebbe realmente confermato la congruenza e l’armonia tra ciò che si pensa, si dice e si fa, quel momento di contatto avrebbe generato più vendite e un passaparola più forte, nonché voglia di tornare anche senza promozione. Permettetemi una formula per fare una sintesi, potremmo dire: P = p – i Dove P (grande) = Prestazione nella vendita = potenziale (prodotto, prezzo, servizio ecc.) – i. La “i” sta per “interferenze”. Le interferenze sono il nostro dialogo interiore, consapevole o meno, sia in chi vende che in chi acquista. Per comprendere appieno questo meccanismo dobbiamo uscire dalla logica lineare/razionale e cercare di immedesimarci a livello emotivo nella situazione. Possiamo infatti a parole dichiarare quello che vogliamo, ma è il “non detto” che determina l’atteggiamento: se mentalmente avrò un sentimento di superiorità nel cliente, lui lo avvertirà. E spesso è proprio il “non detto” l’oggetto di attenzione proprio perché, come dicevamo, il senso di sfiducia è latente e verso tutti.

Se dentro di me penso che lui è ignorante, e devo fare “buon viso”, lui lo avvertirà. Se gli sorrido ma penso che “non vedo l’ora che se ne vada via”, il nostro atteggiamento parlerà al nostro posto. Scontato? Ovvio? Può sembrare, ma non lo è. Da uno studio della Franklyn-Covey, una delle maggiori società di consulenza al mondo, è emerso che su n.1000 aziende intervistate, l’88% dei titolari dichiarano di fare il massimo per i clienti, ma soltanto l’8% dei clienti è d’accordo. Mi pare una grande opportunità, non trovate? Durante il periodo festivo di Natale e Capodanno sono andato, come tante altre persone, a vedere cosa offrivano i negozi e magari fare qualche regalo, per me e per i miei cari. Ebbene registrando (con distacco) gli atteggiamenti degli addetti (dipendenti ma spesso anche titolari) quello che ho constatato è che nell’80% dei casi è stato fatto di tutto per non farmi comprare. Spesso non venivo messo a mio agio e mi demotivavo nel fare domande relative all’acquisto. Possibile?

La notizia positiva, però, è che questa è un’ottima opportunità per chi decide di elaborare una strategia per valorizzare il proprio atteggiamento.
Che non vuole dire “simularlo”, abbiamo detto che questo non funziona più. In realtà è portando a consapevolezza questi fattori, facendo chiarezza su quali valori fondanti ci caratterizzano, e valorizzandoli al punto che “arrivano” in ogni momento della verità col cliente. Da qui innestando un circolo virtuoso a favore della nostra reputazione e anche della nostra soddisfazione interiore. Propongo un allenamento per potenziare queste consapevolezze e facilitare i risultati. Ogni fine giornata, oppure ogni due giorni, prendiamoci un quarto d’ora di sosta e poniamoci le seguenti domande, senza giudizio ma assumendo una posizione da puri osservatori:

Quali sono stati i momenti migliori con i clienti, oggi?
Qual’ era il mio atteggiamento predominante in quelle fasi?
Quale era il mio dialogo interiore in quei momenti?
E poi: quali sono stati i momenti meno buoni con i clienti, oggi?
Che tipo di atteggiamento ho tenuto in quei momenti?
Quali interferenze c’erano nel mio dialogo interiore?
E poi: cosa voglio far arrivare al cliente, che mi distingue?
Come posso creare una solida fiducia?
Cosa posso provare a fare di meglio?
Cosa ci guadagno e come mi sentirò?

Organizzandosi costantemente su questo tipo di osservazioni, potremo verosimilmente verificare come il nostro atteggiamento inizierà ad influenzare in maniera più positiva, sia noi stessi che gli altri. Evidenzio la parola “costantemente”. Provarlo occasionalmente non produce un granché: è come uno sportivo che vuole correre ad una gara: i risultati li otterrà soltanto allenandosi costantemente e per un periodo più o meno lungo. Correre solo la Domenica non è la stessa cosa che farlo più volte a settimana. Magari portando a consapevolezza che il nostro atteggiamento può incoraggiare o scoraggiare gli altri e, in tempi di crisi, scusate se è poco.

Sull’autore
Antonio Cecere, classe 1976, è coach professionista e trainer nello sviluppo organizzativo personale e aziendale. Ricerca e sviluppa metodi per facilitare i risultati di persone e imprenditori, facendo leva sulle potenzialità di ogni individuo e su strategie di organizzazione efficace. Dal 2012 studia e pratica l’evidence-based coaching (coaching su base scientifica) e ad oggi rappresenta per l’Abruzzo l’Associazione Italiana Coach Professionisti. (web: www.cecerecoaching.it).

Pubblicato su: ilnuovoonline.it 25 Gen. 2015